Mafia: Vita di un uomo di mondo (Italian Edition) by Alfredo Galasso & Angelo Siino

Mafia: Vita di un uomo di mondo (Italian Edition) by Alfredo Galasso & Angelo Siino

autore:Alfredo Galasso & Angelo Siino [Galasso, Alfredo & Siino, Angelo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: General, Social Science, Biography & Autobiography, Criminology
ISBN: 9788868334451
Google: M8OfjgEACAAJ
Amazon: B01N129LHK
editore: Ponte alle Grazie
pubblicato: 2017-01-26T00:00:00+00:00


Capitolo sedicesimo

Il «metodo» Siino

Di Martelli mi parlò cinque anni dopo Salvo Lima, criticando la sua scelta di nominare Giovanni Falcone alla direzione del Ministero della Giustizia, con una espressione che mi è rimasta impressa nella memoria: «Chistu si metterà l’Italia nelle mani».

In realtà, l’obiettivo di Falcone era la costituzione di una Procura nazionale antimafia, con il compito di coordinare le informazioni e le iniziative delle Procure dei vari distretti giudiziari.

Anche con Lima, mi guardai bene dal commentare. Ciò per cui ero in ansia, in quel periodo, riguardava il famoso dossier «Mafia e Appalti», in cui erano ricostruiti gli intrighi affaristici di Cosa Nostra degli anni precedenti e in cui venivo descritto come il personaggio principale, il vero deus ex machina di questi intrighi.

Tra le varie vicende esposte a mio carico figurava in notevole rilievo la mia attività di mediatore degli affari di Claudio De Eccher, un industriale friulano che aveva un impero economico presente e operante in mezzo mondo e che tuttavia non disdegnava di acquisire gli appalti siciliani. Il suo factotum, nell’Isola, era il geometra Giuseppe Li Pera, imputato e condannato insieme a me dal Tribunale di Palermo. De Eccher riuscì, con la collaborazione mia e di Li Pera, ad aggiudicarsi un buon numero di appalti, come un tratto dell’Autostrada Palermo-Messina, e a evitare in diverse occasioni di pagare la «messa a posto», compensando le famiglie mafiose con l’assegnazione di subappalti.

Nella seconda metà degli anni Ottanta, in Sicilia, di personaggi e di affari ne erano circolati molti di più. L’incarico affidatomi nell’ufficio di Pino Lipari, che mi è valso il titolo di ministro dei Lavori pubblici, segnava una svolta fondamentale nella strategia di Cosa Nostra e nello scenario che si veniva a configurare intorno.

Fino a quel momento le famiglie mafiose esigevano e percepivano regolarmente la «messa a posto», cioè il pizzo imposto e più spesso concordato con gli imprenditori e i professionisti della zona di rispettiva competenza; si accaparravano i subappalti per i propri amici e parenti e al massimo si occupavano direttamente della gestione per conto terzi, in particolare del trasporto terra. In sostanza, un comodo ruolo di parassiti e sanguisughe dell’economia locale.

Questo ruolo attirava l’interesse di personaggi che non avevano un pedigree mafioso ed erano smaniosi di soldi e prepotenze. Di fronte a uno di questi, Vito Vitale, fui costretto a tirar fuori la pistola, per la prima e ultima volta della mia vita. Ma ebbi davvero paura.

Mi ero trovato a fronteggiare, dinanzi alla distilleria gestita da mia cognata, a Partinico, un omone dall’aria minacciosa, che scaricava vinacce e si era avvicinato a me spingendomi furiosamente lontano dal cancello d’ingresso. Scoprii che Vito Vitale faceva parte di quella manovalanza utile alla vicina famiglia dei Brusca di San Giuseppe. A poco a poco, una prepotenza e una minaccia appresso all’altra, sarebbe diventato un uomo di spicco della stessa famiglia, che in un certo senso lo aveva adottato. Infatti, lo avrei rivisto.

Il salto nel circuito delle grandi opere e delle grandi imprese fu deciso da Riina e Provenzano, vinta la guerra di mafia e, almeno per il momento, sgomberato il campo anche dai nemici esterni.



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